La fiction "Il Mostro di Firenze" e la realtà dei fatti

di Enrico Manieri - Henry62

Come molti Italiani, ho seguito con interesse le prime tre puntate della fiction televisiva "Il Mostro di Firenze", trasmessa da Fox Crime su Sky, e credo che, viste le ricostruzioni degli omicidi, si possano ora fare alcune osservazioni.

La fiction, lo sappiamo, non è un documentario e determinati aspetti legati al meccanismo dello spettacolo devono essere concessi ed accettati.
Lo scopo di una realizzazione televisiva è quello di fare audience e, nello stesso tempo, di creare un prodotto qualitativamente e tecnicamente gradevole.
Una nota di plauso merita la splendida sigla, davvero azzeccata e di grande impatto, e senza entrare nel merito degli aspetti più prettamente tecnici della fiction, quale casting, recitazione, fotografia, sceneggiatura e regia, vorrei focalizzare l'attenzione sull'aspetto dell'aderenza del racconto alla realtà dei fatti.

In questa intervista, che rilasciai prima della messa in onda del programma, ebbi modo di esprimere alcune considerazioni di carattere generale, che ritengo tuttora valide, dopo aver visto le prime puntate trasmesse.

Dal mio punto di vista, cioè da quello del tecnico che si avvicina a queste vicende col distacco di chi cerca di valutare solamente le evidenze presenti sulla scena del crimine, l'aspetto più importante è che al pubblico venga fornita una informazione il più possibile scevra di interpretazioni soggettive e di elementi di fantasia, in modo da delineare una ricostruzione realistica di come avvennero i singoli omicidi della sequenza.

Non mi interessa, quindi, se gli autori della fiction siano "innocentisti" o "colpevolisti",  sposino una tesi o un'altra, mostrando magari nelle puntate a venire, nei panni del Mostro, qualcuno che poi potrebbe avere, nel seguito della fiction, un nome e un cognome, ma mi preme invece ciò che resterà impresso nella memoria visiva del pubblico.
Dalla fiction mi aspettavo una ricostruzione degli eventi assolutamente rispettosa della realtà dei fatti e che non introducesse elementi non presenti negli atti.

Se la volontà degli autori era quella di far rivivere questa tragedia dal punto di vista dei familiari delle vittime, l'aver dato risalto alla figura di Renzo Rontini è stata sicuramente una scelta azzeccata.
Parlare di sentimenti, con un occhio di riguardo per le vittime, è importante, ma la dinamica degli omicidi non può essere adattata ad esigenze di scena, così come ritengo doveroso rappresentare i fatti nella giusta sequenza cronologica.


L'omicidio degli Scopeti, avvenuto nel settembre 1985, è l'ultimo crimine della serie attribuita al Mostro di Firenze; questo feroce duplice omicidio, che vide quali vittime due turisti francesi che facevano campeggio libero, Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvilj, venne seguito dall'invio di una lettera anonima alla dottoressa Della Monica, l'unico magistrato donna ad aver seguito parte dell'inchiesta.

Questa busta, il cui indirizzo era composto da lettere ritagliate da un settimanale, conteneva un brandello di pelle prelevata dal corpo di Nadine Mauriot (all'epoca l'unico esame possibile era quello dell'analisi del gruppo sanguigno, che risultò essere uguale a quello di Nadine).


Nella terza puntata della fiction, dopo l'arrivo di questa lettera, si assiste ad una scena con un monologo in romanesco del personaggio che rappresenta il commissario Perugini, in cui si afferma che si deve rispondere alla sfida lanciata dal Mostro: immediatamente questa risposta arriva con la scena del famoso appello televisivo al Mostro lanciato dal capo della S.A.M. dalle telecamere della televisione di Stato.


La drammatica sequenza dell'appello di Perugini al Mostro perchè si costituisca, episodio unico nella storia criminale del nostro Paese, viene mostrata in uno spaccato della vita quotidiana della famiglia Rontini e per il telespettatore tutto lascia pensare che il legame fra la sfida e la risposta, cioè l'arrivo della busta del Mostro e la risposta degli inquirenti tramite l'appello di Perugini, sia cronologicamente collegato da un rapporto di stretta consequenzialità.

Sapete quando avvenne nella realtà quell'appello?
Andò in onda il 4 febbraio 1992, su Rai2, nella trasmissione "Detto tra noi", condotta da Piero Vigorelli.
La famosa risposta immediata degli investigatori della fiction, in realtà avvenne sei anni e mezzo dopo l'arrivo della lettera indirizzata alla dottoressa Della Monica.

Altro aspetto che trovo davvero singolare è la ricostruzione che viene fatta del delitto degli Scopeti.
Nella scena si vede un uomo solo che, avvicinandosi alla tenda illuminata dall'interno, con un solo fendente taglia il telo esterno e la tenda interna nella tre-quarti superiore del telo, introduce la mano armata di pistola e apre il fuoco, colpendo la donna e ferendo l'uomo.

Il ragazzo francese apre allora la tenda dalla parte opposta ed esce scappando, nudo, verso il bosco, per essere quindi raggiunto ed ucciso.
Non si vede altro, ma la scena appena descritta, girata proprio sulla piazzola degli Scopeti,  credo sia bene chiarirlo subito, è purtroppo in buona parte inventata, completamente diversa da ciò che i rilievi effettuati sulla scena del crimine ci hanno raccontato in merito alla dinamica omicidiaria.

Secondo la ricostruzione fatta nel processo ai "compagni di merende", con sentenza passata in giudicato, l'omicidio del 1985 sarebbe stato compiuto da due uomini, Vanni e Pacciani: il primo armato di coltello ed il secondo di pistola.
Mentre Vanni avrebbe tagliato la tela esterna (e solo il telo impermeabile, non quello più interno) del lato della tenda rivolto verso la piazzola, Pacciani, dalla parte opposta, cioè da quella da cui esce il ragazzo francese nella fiction, avrebbe sparato verso la tenda chiusa, colpendo le vittime dall'esterno verso l'interno della tenda, senza entrarvi.
Una volta uscito il ragazzo francese, questo sarebbe stato inseguito da Pacciani, che continuava a sparare durante la corsa, per poi essere finito a coltellate.
Se davvero le cose fossero andate così come raccontano i testimoni, ed ho seri dubbi, ci sarebbe da chiedersi che rischio avrebbe corso Vanni di essere colpito dai colpi esplosi dal suo complice Pacciani, visto che si sarebbe trovato proprio sulla linea di tiro dell'arma.
Questa comunque è la ricostruzione accettata dalla Corte che condannò Vanni all'ergastolo e Lotti a 26 anni di carcere.

E' certo che non ci fu alcun taglio della tela interna della tenda e la pistola non venne, evidentemente, inserita nella tenda da quel taglio per sparare.


Siamo quindi di fronte ad una ricostruzione fatta nella fiction che è discordante da ciò che dicono le sentenze dei processi ed i rilievi della Polizia Scientifica.
Se da un punto di vista televisivo tutto comunque funziona, ciò che resta nel telespettatore è una ricostruzione scenografica che non ha niente a che vedere con la realtà dei fatti.
Immagino che per gli autori della fiction questi aspetti non siano poi così importanti, visto il tipo di  ricostruzione che è stata comunque filmata, ma per chi si occupa seriamente di questa vicenda l'attenzione ai particolari deve essere massima.
La dinamica del delitto, se si sceglie di seguire ciò che risulta agli atti, deve essere quella che ho precedentemente descritto e non altra.

Il rischio di una fiction che nelle dichiarazioni non si ispira semplicemente ai fatti reali, ma vuole raccontare i fatti, è quello di introdurre delle semplificazioni e delle generalizzazioni che, alla fine,  possono generare e lasciare nei telespettatori delle errate convinzioni.
Nel caso del duplice omicidio degli Scopeti, purtroppo, ciò è avvenuto in modo davvero increscioso: la scena che vediamo nell'immagine che segue, nella realtà non è mai avvenuta.


Sono particolarmente dispiaciuto che proprio su questo omicidio, che sto analizzando da tempo, siano stati commessi errori così importanti nella ricostruzione dei fatti, perchè considero questo omicidio un punto fondamentale di tutta la vicenda giudiziaria che ha portato alle sentenze definitive di condanna dei "compagni di merende".

Non dobbiamo dimenticare che furono proprio le testimonianze di Giancarlo Lotti e di Fernando Pucci sull'omicidio di Scopeti a imprimere all'inchiesta una svolta: per la prima volta dei testimoni oculari raccontarono come sarebbe avvenuto un delitto del Mostro e, soprattutto, chi l'avrebbe compiuto.
La testimonianza di Lotti, che colloca il delitto del 1985 alla sera della domenica, divenne in breve una autoaccusa ed il suo ruolo, da testimone sottoposto al regime previsto per i pentiti di mafia, cambiò presto in quello di complice in almeno quattro duplici delitti.

Fiction e sentenze, abbiamo detto, ci raccontano lo stesso evento in modi diversi; tuttavia è mia convinzione che esista un unico modo per ricostruire la dinamica di un evento:  prestare la massima attenzione alle evidenze della scena del crimine.

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